Frequently
Asked Questions
2014
Può
oggi il regolamento di condominio vietare la detenzione di animali
domestici in appartamento?
La
recente legge di riforma n. 220 del dicembre 2012 ha dato un
taglio netto alle dispute, sorte per la verità in giurisprudenza più
che in dottrina, inerenti la legittimità di un divieto del genere.
Oggi difatti la norma espressamente vieta il divieto nel senso
che ogni clausola regolamentare dovrà rispettare il dettato del
nuovo art. 1138 V° comma c.c., con ciò dando piena forza
giuridica al principio maggioritario che i giudici nel corso degli
anni avevano individuato. E ciò in piena adesione al concetto di
animale quale essere senziente, già sotteso alle scelte legislative
compiute nel 2004 mediante l'introduzione degli artt. 544 ter e
segg. c.p. A tal proposito, una lettura costituzionalmente orientata
della citata norma non può che far propendere per una applicazione
sostanzialmente retroattiva del dettato, nel senso che verrà
applicata anche ai regolamenti contrattuali-condominiali già vigenti
alla data dell'entrata in vigore della novella (giugno 2013).
Sul
dibattito ante riforma condominio 2012
In
linea di massima è da ritenersi illegittimo uneventuale
divieto generalizzato di tenere animali nel proprio appartamento;
il regolamento condominiale, difatti, non può comunque andare a
ledere il diritto di ciascun condomino a godere in modo pieno ed
esclusivo dellappartamento in proprietà ai sensi dellart. 1138
IV° comma c.c. e, dunque, di vivere con un animale da compagnia
nellovvio rispetto delle regole di buon vicinato.
Ferma
restando la sua illegittimità sostanziale, può capitare che detto
tipo di regolamento preveda una clausola di tale tenore nel qual caso
il proprietario dellappartamento non potrà non ritenersi,
almeno formalmente, vincolato perché la clausola risulta
contrattualmente accettata in sede di rogito. Bisogna però
ricordare come l'orientamento giurisprudenziale prevalente nega al
regolamento condominiale la possibilità di imporre validamente il
divieto di tenere animali ai singoli condomini, a maggior
ragione se detti animali non provocano particolari molestie ai vicini
di casa o siano detenuti in appartamento da diversi anni.
Cass.
civ. 4.12.1993, n. 12028
In
tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli
appartenenti i comuni animali domestici non può essere contenuto
negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza
dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare
limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei
condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi
individualmente in esclusiva, sicchè in difetto di
un'approvazione unanime le disposizioni anzidette sono inefficaci
anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro
voto favorevole alla relativa approvazione, giacchè le
manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un atto
collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali
atipici...
Può
lamministratore vietare laccesso di animali domestici
allascensore comune o al giardino condominiale?
Lascensore
ed il giardino condominiale rappresentano parti comuni, ove la
contitolarità del diritto di proprietà di ciascun condomino su tali
beni impone l'esigenza di contemperare gli interessi di tutti i
comproprietari a che sia garantito da un lato il pieno e libero
godimento da parte di ciascuno e, dall'altro, il divieto di un
utilizzo dannoso della cosa comune (art. 1102 c.c.). Ovvio
pertanto che comprovati problemi di natura igienico-sanitaria
legittimerebbero, a stretto rigore, un divieto del genere, ma pare
altrettanto evidente che, una volta ammessa la presenza di animali
domestici in condominio come sopra ricordato, non possa vietarsi tout
court il transito o la frequenza per le parti comuni. Pertanto, è
da ritenersi sostanzialmente illegittimo vietare laccesso al
giardino condominiale agli animali da compagnia (sia esso contenuto
in un regolamento condominiale o una delibera assembleare), sebbene
si debbano certo rispettare la salute e l'igiene degli altri
condomini preoccupandosi, ad esempio, di garantire sempre e comunque
la pulizia dei luoghi frequentati.
Quali
sono i limiti oltre i quali labbaiare di un cane è molesto?
Labbaiare
solitamente lamentato dai vicini di casa rientra a pieno nella
fattispecie di cui all'art. 844 c.c. per la quale "Il
proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o
calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili
propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la
normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei
luoghi
". La legge stabilisce, pertanto, il parametro della
normale tollerabilità quale limite oltre il quale si
riconosce al vicino il diritto di impedire le immissioni moleste;
difatti, qualsiasi propagazione proveniente dall'altrui proprietà è
ritenuta dall'ordinamento lecita solo se rientra nella normale
tollerabilità alla luce di un accertamento che, in concreto, il
giudice dovrà compiere tenendo conto di tutte le circostanze di
fatto. Tale limite è senzaltro da intendersi in senso relativo,
valutando dunque la complessiva situazione ambientale tenuto conto
della rumorosità di fondo della zona e delle abitudini del vicinato
(come, ad esempio, il fatto che altri vicini possiedano cani).
Cass.
civ. 26-03-2008, n. 7856
...
dall'istruttoria testimoniale era emerso con certezza che il cane
di proprietà dei convenuti aveva la tendenza ad abbaiare
ogniqualvolta sentiva suonare il campanello o quando avvertiva la
presenza di persone all'interno dello stabile, e spesso anche nelle
ore notturne. Era evidente che la natura dell'animale non
poteva essere coartata al punto da impedirgli del tutto di
abbaiare e che episodi saltuari di disturbo da parte del cane
potevano e dovevano essere tollerati dai vicini, in nome dei
principi del vivere civile. Questo non toglieva però l'obbligo
degli appellanti in via principale di conformarsi al regolamento
condominiale e di fare in modo che la presenza del cane non fosse
lesiva dei diritti degli altri condomini, riducendo al minimo le
occasioni di disturbo e prevenendo le possibili cause di agitazione
ed eccitazione dell'animale, soprattutto nelle ore notturne
E
responsabile il proprietario del cane nel caso questultimo
aggredisca persone o altri animali?
Secondo
la previsione di cui all'art. 2052 c.c. Il proprietario
è responsabile dai danni cagionati dallanimale
salvo che provi
il caso fortuito. Ciò significa che tale responsabilità
certamente sussiste qualora si riesca a provare con certezza il c.d.
nesso causale tra le lesioni subite e l'aggressione compiuta. Il
proprietario dellanimale, peraltro, potrà andare esente da
responsabilità solo dimostrando il c.d. caso fortuito e cioè
l'esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale che ha
determinato l'evento lesivo, ipotesi da escludere qualora egli abbia,
ad esempio, colposamente omesso di tenere a guinzaglio il proprio
cane. Dal punto di vista penale, potrà altresì trovare applicazione
il disposto di cui allart. 672 c.p. (omessa custodia e malgoverno
di animali) secondo il quale è punito Chiunque lascia liberi, o
non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui
posseduti
A
cosa va incontro il proprietario nel caso in cui il proprio cane
sfugga e provochi un incidente stradale?
Fermo
restando quanto appena detto circa la responsabilità del
proprietario ex art. 2052 c.c., nel caso di sinistro stradale non
consistente nello scontro tra due veicoli troverà anche applicazione
la norma di cui all'art. 2054 c.c. per la quale Il conducente... è
obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla
circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il
possibile per evitare il danno. Dette norme prevedono entrambe
delle presunzioni relative a carico, rispettivamente, del
proprietario dell'animale e del conducente del veicolo nel senso che
la loro colpa (e dunque la responsabilità del danno) si presume in
difetto di spunti contrari con onere di prova a loro carico (c.d.
prova liberatoria). Nel caso di specie le due presunzioni coesistono
con pari efficacia per cui, in difetto di rilievi compiuti
dalleventuale autorità intervenuta, la responsabilità graverà
prudentemente su entrambi al 50%.
In
caso di separazione personale, a quale dei coniugi spetterà il cane
acquistato durante il matrimonio?
Occorre
ricordare come non sono presenti nel nostro ordinamento norme
specifiche dirette a regolare l'assegnazione o il mantenimento degli
animali da affezione in caso di separazione personale o divorzio;
bisognerà in primo luogo stabilire chi effettivamente sia il
proprietario del cane, atteso che il regime giuridico degli animali
da affezione, purtroppo, è del tutto equiparato a quello dei beni
mobili. Pertanto, all'acquisto di un cane da parte dei coniugi in
regime di comunione legale può applicarsi la regola generale per la
quale (art. 177 c.c.): "Costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente
durante il matrimonio
"; se l'animale risulta acquistato dopo
le nozze anche solo dal marito, ad esempio, entrambi i coniugi
dovranno essere considerati proprietari. Per quanto appena detto,
l'animale da compagnia non è comunque considerato autonomo
soggetto di diritti da parte dell'ordinamento; non potrà
pertanto ottenersi un autonomo assegno di mantenimento in suo
favore sebbene gli oneri relativi possano venire ricompresi
nell'ordinario assegno divorzile (ma ciò dipenderà solo dalla
sensibilità del singolo giudice).
A tal
proposito interessante ricordare un decreto di omologa di
separazione consensuale del 2008 emesso dal Tribunale di Cremona
ove, a fronte dell'iniziale conflitto tra coniugi nonché proprietari
di due cani acquistati dopo le nozze, è stato stabilito di applicare
agli animali i medesimi criteri stabiliti dalla legge per l'affido
dei figli minori: dunque affidamento preferibilmente condiviso con
dimora presso uno dei due ed addebito, a carico dell'altro, di un
assegno mensile per cibo e spese sanitarie oltre che l'ovvio diritto
di visita. La sentenza però non è condivisibile dato che ognuno di
noi capisce che le esigenze del cane non sono le stesse di un bambino
e, ancora una volta, si sono ignorati i diritti dell'animale-non
umano applicando categorie elaborate per gli animali-umani. Come
già rilevato da Valeria Rossi: Se un bambino è in grado di
capire che ogni tanto cambia casa, ambiente e famiglia per andare a
trovare il genitore che non sta più con lui, per il cane lo
spostamento è, ogni volta, uno choc: il cane non è in grado di
capire il motivo del cambiamento, non sa che rivedrà la persona con
cui viveva fino al giorno prima e ogni volta, più che accolto
da uno dei due coniugi, si sente abbandonato dallaltro
Sulla
medesima scia del citato provvedimento giudiziale si muove il recente
decreto
adottato dal Tribunale
di Milano (sez. IX Civile 13.03.2013),
ove si avalla una clausola di accordo consensuale inerente
le condizioni di permanenza dei gatti di famiglia (presso
l'abitazione familiare di collocazione della minore) e la misura
della contribuzione al loro mantenimento (ordinario per il genitore
collocatario, straordinario al 50 %). Importante rilevare come il
Giudicante abbia espressamente dato atto che nemmeno più dal punto
di vista semantico l'animale da compagnia possa oggi essere
ritenuto cosa, ma essere senziente in accordo alla recente
evoluzione legislativa italiana ed europea.
Può
un pubblico esercizio vietare laccesso ai cani?
Sebbene
a tuttoggi diversi regolamenti comunali impongano agli esercenti
di consentire laccesso dei clienti insieme ai propri animali da
compagnia, può capitare che il divieto venga opposto agli avventori
sebbene la normativa specifica nulla preveda in merito se non
lobbligo di conduzione con guinzaglio e museruola (art. 83 D.P.R.
n. 320/1954, regolamento di polizia veterinaria); rimane comunque una
libera scelta dellesercente quella di vietare lingresso ai
cani, sempre che il locale regolamento a tutela degli animali
daffezione, ove esistente, non consenta il generale accesso ad
ogni pubblico esercizio.
Può
un ufficio pubblico vietare laccesso agli animali domestici?
Occorre
rimarcare come i pubblici uffici, quale un ufficio postale ad
esempio, non possano essere considerati "esercizi pubblici"
alla pari di ristoranti, negozi e quant'altro; gli enti gestori,
pertanto, sono legittimati a prevedere all'interno di propri
regolamenti il divieto di accesso agli animali nei relativi uffici
sebbene, oggettivamente, non se ne comprenda la ragione soprattutto
alla luce della mutata sensibilità sociale. A tal proposito, è bene
ricordare come un eventuale regolamento comunale non possa comunque
imporre a detti enti di far accedere gli animali da compagnia
allinterno dei propri uffici, cosa che invece può avvenire per un
pubblico esercizio.
Cosa
posso fare nel caso in cui un vicino di casa maltratta
quotidianamente il proprio cane?
Lart.
544 ter c.p. prevede e punisce Chiunque, per
crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale
per cui, in tale malaugurata ipotesi, non resta che denunciare
prontamente laccaduto presso la competente Autorità (qualsiasi
stazione di Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia Municipale o
direttamente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale)
semplicemente descrivendo i fatti ai quali si è assistito. Una volta
formalizzata la querela, le indagini proseguiranno in via automatica
senza nessuna eventuale spesa per il querelante.
Cosa
posso fare se, tornato dalla pensione per animali, il mio cane
presenta evidenti lesioni?
Dal
punto di vista giuridico, il rapporto intercorso tra la pensione ed
il proprietario dellanimale è ascrivibile nell'ambito del
contratto di deposito oneroso; come impone lart. 1768 c.c., la
pensione doveva seguire la diligenza del buon padre di famiglia
durante la custodia dell'animale e, in caso di eventuali problemi,
informare subito il proprietario delle condizioni di salute. Una
volta accertato lo stato di salute dellanimale riconsegnato, la
pensione risulterà di certo contrattualmente inadempiente e non
potrà pretendere alcunché a titolo di compenso per la custodia o
quant'altro ma, anzi, potrà essere tenuta responsabile delle lesioni
subite dal cane e risarcire il danno subito.
Qualche
giorno dopo averlo regolarmente acquistato, il mio cane ha iniziato a
star male tanto da doverlo ricoverare durgenza in clinica
veterinaria; cosa posso fare?
Essendo
gli animali da compagnia considerati dal vigente ordinamento quali
vere e proprie cose, la disciplina dei vizi della loro vendita
è contenuta negli artt. 1490 e segg. c.c. che si riferiscono,
appunto, a qualsiasi bene mobile.; in particolare, proprio lart.
1496 c.c. la rende espressamente applicabile in caso di vendita di
animali. Il venditore, dunque, è obbligato a garantire che la cosa
venduta sia esente da vizi che la rendano inidonea alluso a cui è
destinata o ne diminuiscano in modo rilevante il valore; in tali
ipotesi il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del
negozio (azione redibitoria, con conseguente restituzione del bene a
chi lha venduto e del prezzo a chi lha acquistato) ovvero la
riduzione del prezzo pagato (azione estimatoria ex artt. 1492 e 1493
c.c.), salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno subito
(quanto meno le spese medico-veterinarie) se il venditore non prova
di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa (art. 1494
c.c.). E altresì opportuno ricordare che entrambi tali azioni
sono soggette ai medesimi requisiti di decadenza (denuncia dei vizi
entro otto giorni dalla scoperta) e prescrizione (un anno dalla
consegna), con onere della prova a carico del compratore.
Redatto a cura ell'Avv. Ferdinando Perugini - proprietà intellettuale riservata